di Saveria Sesto*

Riprendo le riflessioni di Cesare Pillon, noto giornalista enogastronomico di 92 anni, la cui penna continua a marcare verità e inascoltati messaggi. Nell’articolo I bianchi da uve autoctone vinceranno a patto che dietro ci sia tanta ricerca , tratta il caso Calabria del vino Efeso della cantina Librandi e descrive : “Efeso non è un bianco di successo: è nato in Calabria i cui vini vengono sempre percepiti come se fossero di serie B , difatti le guide internazionali non si sono rese conto della sua eccezionalità. I consumatori sì e le 25.000 bottiglie della vendemmia 2021 da giugno a settembre erano esaurite. Ma 25 mila persone sono troppo poche per ribaltare un pregiudizio”

Efeso è un vino bianco di uve Mantonico, nato  già da 20 anni,  nelle vigne Librandi a  Rocca di  Neto in un  cru (vigna in terreno argilloso-calcareo con sedimenti di arenaria), frutto della ricerca  nel vigneto e proseguita in cantina con fermentazione in rovere Allier per esaltare le potenzialità di un vitigno antico, autoctono, archeologico direi, dal greco  Mantonikos, letteralmente divinatorio .

Varietà geneticamente duttile, prestante e performante con un potenziale d’invecchiamento lungo fino a 8 anni. 

E chi l’avrebbe mai pensato un vino bianco cosi longevo per la Calabria?  Solo l’enologo Donato  Lanati che  ne  è l’autore e Nicodemo Librandi coautore nella vigna.

Anche l’azienda Statti ha il suo Mantonico su di una superficie significativa, affinato in legno di acacia, Antonella Lombardo nella Locride, Cantina Dall’Aera in bottiglie numerate, Cantine Ferrocinto, Barone Macri che lo ha spumantizzato con metodo classico ed altri ma in  uvaggio con altre varietà .

Da wine lover  di serie B non posso che concordare con questo pungente e irritante pre-giudizio sulla Calabria, condannato da Pillon, ma tocca fare autocritica sulla modesta reputazione e considerazione  che viene riservata, dettata dal cronico ritardo nelle scelte, scarsa visione e  peso che assume la ricerca scientifica  enologica  che latita in Calabria (università, centri di ricerca, laboratori enologici avanzati, Istituti di sperimentazione)  che non esprime letteratura, non  supporta ed non aiuta ad esaltare  la  viticoltura di  una Terra d’uve.

Siamo solo bravi a narrare  che siamo la regione con più  ricchezza di biodiversità,  con oltre 200 vitigni presenti nei nostri territori e che affondiamo radici o sprofondiamo  nell’olimpionica  Magna Grecia.

Non si spiega perché  i vini si collocano nella serie B. La verità è nei numeri, nella vera struttura del settore, nel patrimonio viticolo delle aziende e nella facile rincorsa all’omologazione.

La Calabria ha un 25% di vini bianchi e 75% di rossi, eppure è una regione di mare, di turismo costiero e di cucina mediterranea.

I vitigni coltivati  in Calabria sono 40  ma solo 20 sono autoctoni, direi identitari.

Non ci qualificano, seppur autorizzati alla coltivazione,  il Barbera, il Merlot, il Riesling, il Traminer , il Cabernet Sauvignon e franc, il Petit Verdot , lo Chardonnay, il  Semillon,  il Syrah ecc . Certo  i produttori  devono vendere vini e soddisfare il gusto del consumatore internazionale.

Invece ci qualificano, ci  identificano  e marcano la Calabria  le varietà storiche, native ed  ancorate, come il   Gaglioppo,  Zibibbo,  Greco bianco , Mantonico , Castiglione, Guardavalle, Nocera, Pecorello,  Magliocco dolce e canino  e la sconosciuta Prunesta  con appena 34 ettari .

Concludendo, allora,  se abbiamo circa  200 presunte varietà , 91 uniche nella collezione  Librandi,  a cui si è aggiunta  quella della  cantina Ferrocinto, di qualche vivaista (Mario Maiorana) o  appassionato  studioso come  Orlando Sculli nella Locride, solo la ricerca, la sperimentazione, le microvinificazioni, posso svelarci l’attitudine enologica  di questi vitigni, l’impronta aromatica, la composizione polifenolica, la resistenza alle avversità. È da questa  biodiversità che bisogna selezionare  piante o cloni, identificati geneticamente senza confusione di nomi,    per arricchire il patrimonio varietale esclusivo della regione, distintivo di areali, radicato nelle zone elette vocate, originale e unico  capace di  fare rumore e destinatario di attenzione anche da una stampa  specializzata a corrente alternata   ed omologato  quando narra la Calabria . Un lavoro del genere richiede una lunga visione, se si parte oggi fra 10 anni si raccolgono i risultati. E l’articolo di Cesare Pillon   pubblicato su  Civiltà del bere ne dà misura.

Scienza, coscienza e conoscenza ci possono liberare dagli orizzonti quotidiani, di breve durata e di scarso respiro  perché la  vite  ha i suoi tempi e  anche la ricerca scientifica ha i suoi,  ma ci  emancipa dal dilagante empirismo .

La speranza è di cambiare una buona volta la reputazione, con una ventata d’interesse e l’ambizione dell’Enotria tellus  per non essere considerati  sempre e anche sui  vini consumatori/wine lovers  di serie B.

*presidente Albero Della Vite – autrice e conduttrice di Coltiviamo Capolavori su Corriere del Calabria

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