Pubblichiamo l’introduzione alla sezione Calabria della guida Slow Wine 2019.
Nella foto un momento dell’evento in Sila con la redazione: da sinistra Giancarlo Rafele, Maurizio Rodighiero, (redattore e portavoce di Slow Food Calabria), Francesca Alcaro

di Giancarlo Rafele*

Se in questa Guida si potessero utilizzare delle immagini, sostituiremmo tutta questa premessa con una fotografia. Una sola. Quella scattata a Buturo, nel cuore del Parco Nazionale della Sila, durante l’evento che ha seguito la degustazione tecnica regionale. Le oltre cento bottiglie stappate, infatti, sono state portate sotto il grande leccio davanti alla Locanda Pecora Nera per una fantastica degustazione aperta agli amici che si sono arrampicati fin lassù per uno scopo nobile: l’acquisto di un defibrillatore esterno da installare davanti alla locanda, unico presìdio di resistenza enogastronomica. Nella foto che avremmo utilizzato, si vedono i tanti produttori che hanno partecipato all’evento, intenti ad aiutarci a riassettare la locanda alla fine della manifestazione. Sono sorridenti, in quella foto. Sono felici. La stessa felicità che gli si poteva leggere negli occhi durante la serata, mentre assaggiavano i rispettivi vini, mentre si scambiavano suggerimenti e consigli, mentre facevano rete. Che non è una cosa tanto usuale a queste latitudini. “Nessuno si salva da solo” ha scritto Carlin Petrini nella prefazione di un libro che parla di contadini langaroli e donne calabresi. Nessuno si salva da solo ed i produttori calabresi presenti in Guida sembra l’abbiano finalmente capito. Perchè lo stare insieme per il bene comune non può che fare bene a tutti. Ed i risultati si vedono. La qualità media dei vini calabresi è salita notevolmente, nonostante l’annata non proprio felice che ha segnato l’agricoltura.

Allora, come abbiamo fatto qualche anno addietro, montiamo in sella, allacciamo il casco e partiamo per questo viaggio immaginario nel cuore della Calabria enologica per capire com’è andata quest’annata. A differenza di allora, la temuta Autostrada A3, oggi A2, è finalmente completata. Partiamo dal confine con la Basilicata ed usciamo subito a Campotenese, per una sosta veloce al suggestivo Parco della Lavanda. Non coltivano vigne, non producono vino, ma questi due ragazzi hanno creato dal nulla un posto che ci inorgoglisce, un bel biglietto da visita per la nostra regione. La prima uscita autostradale che imbocchiamo per il nostro lavoro è Morano Calabro, nel cuore del Parco del Pollino, per recarci a Saracena. È qui che si produce il Moscato Passito al Governo di Saracena, Presìdio Slow Food, vinificando uve Guarnaccia, Malvasia, “Adduroca” e Moscatello. Un procedimento antico che risale al Cinquecento e che fornisce un vino ambrato, particolarmente profumato. Siamo in moto, ma una bottiglia nella borsa laterale la dobbiamo mettere necessariamente. Scendiamo lungo i crinali del Monte Orosmarso, appendice meridionale del Massiccio del Pollino, dove inizia la Doc Terre di Cosenza che, a queste altitudini, costituisce senza dubbio il miglior potenziale della regione per la produzione di ottimi bianchi. Un territorio fertile non solo per l’agricoltura. Sui pendii del Massiccio che degradano sulla Piana di Sibari, infatti, vi è anche un notevole fermento di giovani agricoltori e vinicoltori che lasciano ben sperare.

Imbocchiamo nuovamente la A2 per uscire a Rogliano, dove inizia la Doc Savuto. Questa zona ha grande tradizione di vino pregiato sin dall’antichità. Decantato da Plinio, amato dai patrizi romani ai cui banchetti non poteva mai mancare, il Savuto (Sanutum per i Latini) deriva da viti che sono piantate sulle pendici dei monti che sovrastano il fiume Savuto, da cui questo vino prende il nome. Questa zona ha da sempre avuto un andamento altalenante per quanto riguarda la qualità prodotta. Negli ultimi anni, però, i produttori sembrano aver trovato la quadra ed è sempre piacevole stappare una bottiglia di Savuto, quasi come fossimo dei patrizi. Intanto, lungo i tornanti del Monte Reventino, siamo giunti fino alla costa tirrenica. La giornata limpida, che consente la vista fino a Vulcano ed alle altre isole dell’arcipelago delle Eolie, ci porta ad abbandonare l’autostrada per la più lunga, ma sicuramente più suggestiva, SS 18 che ci porta fino a Pizzo. È su questo promontorio, e lungo i pendii di Francavilla Angitola, che da qualche anno viene coltivato nuovamente lo Zibibbo di Pizzo, apprezzato fino alla metà del secolo scorso per la sua aromaticità e adesso Presidio Slow Food. Un giovane produttore ha deciso di vinificarlo secco ed è stato un successo. Un’altra bottiglia da mettere nella borsa laterale.

Attraverso i monti delle Serre calabresi, attraversando la parte più stretta dell’intera penisola, passiamo dalla costa tirrenica a quella jonica e percorriamo la SS 106 lungo le bianche e poco frequentate spiagge fino a Bianco. Su questi terreni si continua a coltivare da sempre il Greco Bianco, lo stesso che gli antichi greci impiantarono nel VII secolo a.C., proprio su queste colline. Ai filari di questo che pare essere il più antico vitigno italiano, si affiancano quelli di Mantonico. Entrambe le uve, dopo un sapiente ed accurato appassimento su graticci al sole, danno vita ad un tesoro dell’enologia calabrese. Senza paura di essere tacciati di campanilismo, possiamo affermare che si tratta di due vini passiti tra i più buoni al mondo. Provare per credere. Noi, intanto, ne mettiamo un paio di bottiglie in borsa e quasi rimpiangiamo un comodo bagagliaio.

 

Ci rimettiamo in sella e manco il tempo di pensare al momento in cui assaggeremo quei vini ambrati, che siamo già arrivati a Palizzi, nell’area grecanica che si sviluppa lungo la vallata della fiumara dell’Amendolea. Lungo questi pendii i vini sanno, più che altrove, di terra e sudore, di fatica e resistenza. Dopo un po’ di foto ai paesini arroccati sulle rocce e che sono culla secolare della minoranza linguistica ellenofona, ci apprestiamo alla tappa più lunga di questo viaggio, quella che dalla parte più meridionale della Calabria ci porta a Cirò, la storia del vino calabrese.

 

Giungiamo a Cirò Marina nella tarda serata del 10 agosto, la notte di San Lorenzo. Notte di desideri. È in atto la terza edizione del Cirò Wine Festival. Ci sono tutti i produttori di questo territorio, da quelli storici da milioni di bottiglie all’anno, ai Cirò Boys che hanno dato una svolta all’enologia calabrese e dato vita alla cosiddetta “Cirò Revolution”, alle nuove leve che si faranno le ossa. Ci sono tutti e collaborano, che non è cosa di poco conto, quaggiù. Non ci pare di aver visto qualche stella cadente, ma un miracolo pare si stia avverando. Alè

*curatore Calabria Guida Slow Wine

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